IL NOSTRO GIOIELLO ESCLUSIVO: IL TEATRO OLIMPICO 

Visitare Vicenza significa giungere a conoscenza dell’importanza architettonica che il celebre Andrea Palladio riuscì, a sua insaputa, trasferire da una dimensione prettamente locale a quella universale. Il Palladianesimo, difatti, risultò per lungo tempo uno stile architettonico profondamente ammirato e “riproposto” dai suoi discepoli, e non solo, negli anni avvenire. Basti pensare che Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti d’America, considerava il trattato del maestro “I quattro libri dell’architettura” la Bibbia universale dei canoni architettonici.

Il Teatro Olimpico è una delle meraviglie artistiche di Vicenza. Ultima straordinaria opera del Palladio, risulta essere perfetto emblema di tutta questa rilevanza poichè è il primo grande teatro stabile dell’età moderna, nel mondo intero. Un primato non da poco.

Nel Rinascimento infatti un teatro non è un edificio a se stante, come diventerà di prassi in seguito, ma consiste nell’allestimento temporaneo di spazi all’aperto o di volumi preesistenti; nel caso di Vicenza, cortili di palazzo o il salone del Palazzo della Ragione.

Il teatro fu commissionato dall’Accademia Olimpica. Correva l’anno 1580, pochi mesi prima della morte di Palladio (all’età di 72 anni); i lavori furono portati a termine dal figlio Silla e da Vincenzo Scamozzi appena 3 anni dopo, nel 1583. Il grande legame, nonché primaria ispirazione, tra l’architetto vicentino e le forme tipiche dell’antica civiltà romana qui diventano palesi più che in ogni altra sua opera: Palladio ripropone quindi il teatro dei romani con precisione archeologica, fondata sullo studio accurato del testo di Vitruvio e delle rovine dei complessi teatrali antichi. Una sola differenza: la cavea, di quattordici gradini, è per ragioni di spazio semiellittica, anzichè semicircolare come nell’antichità, ed è coronata da una loggia superiore corinzia dietro a cui si aprono le finestre. Ciò che colpisce immediatamente lo spettatore che vi fa visita è il cielo, un cielo nuvoloso, che rievoca i teatri classici, posti all’aperto. La bellissima scena fissa fu portata a termine da Scamozzi nel 1585: è in legno e stucco e riproduce la facciata di un edificio classico a due ordini corinzi, la cui zona mediana è assimilabile a un arco trionfale, ed è adorna di statue entro nicchie architettoniche e di rilievi nell’attico con episodi della vita di Ercole, eroe protettore dell’Accademia. Nella scena si aprono tre porte sullo sfondo e due laterali, ma per la ramificazione a tre dell’apertura centrale si scorgono in tutto sette vie. Queste vie sono profonde solo pochi metri, ma, grazie alla forte inclinazione del pavimento e agli edifici in bassorilievo, sembrano lunghissime. Questa impostazione della scena, in realtà, si inspirò alla prima opera che segnò l’inaugurazione del teatro, in occasione del Carnevale del 1585: si trattava di una tragedia greca, l’Edipo Re di Sofocle, e la scenografia riproduceva le sette vie di Tebe che si intravedono nelle cinque aperture del proscenio con un raffinato gioco prospettico. Infine sempre allo Scamozzi viene affidata anche la realizzazione degli ambienti accessori: l’Odeo, ovvero la sala dove avevano luogo le riunioni dell’Accademia, e l’Antiodeo, decorati nel Seicento con riquadri monocromi del valente pittore vicentino Francesco Maffei. La fama del nuovo teatro si sparge prima a Venezia e poi in tutta Italia suscitando l’ammirazione di quanti vi vedevano materializzato il sogno umanistico di far rivivere l’arte classica. Poi, nonostante un avvio così esaltante, l’attività dell’Olimpico venne interrotta dalla censura antiteatrale imposta dalla Controriforma e il teatro si riduce a semplice luogo di rappresentanza: vi viene accolto papa Pio VI nel 1782, l’imperatore Francesco I d’Austria nel 1816 e il suo erede Ferdinando I nel 1838. Con la metà dell’Ottocento riprendono saltuariamente le rappresentazioni classiche, ma si dovrà attendere l’ultimo dopoguerra, scampato il pericolo dei bombardamenti aerei, per tornare seriamente a fare spettacolo in un teatro che non ha uguali al mondo.